GLI AZZURRI DEL RUGBY INCONTRANO IL PROGETTO MIXAR

(FIR) – Gli Azzurri della Nazionale hanno accolto alcuniragazzi del progetto Mixar provenienti dall’Unione Rugby Capitolina accompagnati dal tecnico Flavio Favale: esperto e discreto li conduce verso gli spalti, dove l’emozione è già un anticipo del fortunato incontro, come lo sono il tepore dell’aria e il sole della primavera romana alle porte.

I minuti che passano tratteggiano una perfetta estetica del rugby: i giocatori azzurri  belli, eleganti, atletici e velocissimi, il verde brillante dei prati, i richiami dei preparatori atletici, la palla ovale che si stenta a seguire con lo sguardo, come se una calamita ne guidasse la traiettoria.

I ragazzi del Mixar scendono in campo entusiasti e sicuri per la giornata di allenamento: gli azzurri ospitanti  mostrano verso di loro una sincera e ammirevole accoglienza. Si vengono incontro,  si passano la palla sorridenti a sancire subito una zona franca, un linguaggio comune con cui ci si connette senza molto da aggiungere.

Si fanno foto, si abbracciano e si riconoscono come reciprocamente importanti esprimendo con la loro disinvoltura alcuni dei principi del modello Mixed Ability di cui F.I.R. si fa ambasciatrice con il programma Mixar.

Partner coordinatore tra tutti quelli che si impegnano a sviluppare questo percorso sotto il patrocinio dell’Unione Europea col Programma Erasmus+, la Federazione individua e supporta una serie di principi che regolano in maniera inclusiva ed efficace gli eventi legati a questo sport. Non uno sport “adattato” o speciale, ma le stesse regole del rugby union con aggiustamenti minimi, quando necessari a includere tutti. Il fondamento del movimento mixed ability è il diritto di tutti alla partecipazione attiva senza essere oggetto di classificazioni.

Al termine della giornata di incontro in campo l’azzurro Ian McKinley si offre al racconto della prima partita Mixar a cui assiste e partecipa nel maggio 2018 tra il Chivasso Rugby e gli irlandesi Sunday’s Well Rebels.

La società piemontese fa dell’integrazione il proprio cardine dando contenuto ai valori rugbisti di inclusione del disagio (l’incontro con la Drola ne è un esempio toccante e significativo) e della disabilità.

L’effetto di quel primo match  sul mediano d’apertura è visibile e spontaneo: il suo personale resoconto della meta segnata dall’ala del Chivasso in quella prima occasione lo emoziona ancora.

Ripensare a quell’esperienza è un’occasione per esprimere il significato profondo dell’idea di squadra nel rugby non solo come lavoro di gruppo e disciplina, ma anche come divertimento condiviso, incoraggiamento reciproco e positività.

È proprio questo a suo avviso il segreto della compresenza in campo di giocatori con e senza disabilità: un atteggiamento radicalmente sportivo nell’accogliere luci e ombre, vittorie e sconfitte, errori tecnici e umani, con piena naturalezza.

Il modello “mixed” impedisce che si creino le condizioni che fanno prevalere l’individualismo sul valore del sostegno reciproco. Solo il rugby permette la realizzazione piena di questa alchimia: in nessun altro sport non c’è vittoria se la squadra non riesce ad essere più della somma degli individui che la compongono.

La saggezza africana sintetizza in chiave suggestiva questo concetto: “Se vuoi andare veloce vai da solo, se vuoi andare lontano vai insieme”.

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