(AIR) – Nell’avvicinarci alle prossime elezioni federali, abbiamo posto 5 domande ai 5 candidati Presidenti FIR alla prossima Assemblea Ordinaria Elettiva di sabato 13 marzo per conoscere la loro opinione su 5 temi importanti per il rugby italiano.
Di seguito le risposte di Marzio Innocenti.
D 1 ) La legge sulla riforma dello sport, che modificherà profondamente il mondo sportivo italiano, detterà nuove norme e comportamenti anche nel rugby: quali sono i lati positivi e negativi della riforma e qual è il giudizio sull’impatto che avrà per tutti noi.
R 1 )Certamente si tratta di un passaggio dalla portata enorme, con alcune novità positive ma anche con tanti aspetti destinati ad avere un impatto fortissimo sui nostri club.
Sul fronte dei collaboratori a compenso, la regolarizzazione che interverrà dal luglio del 2022 per chi supera i 10 mila euro annui è un giusto riconoscimento di quei diritti lavorativi destinati a figure che spesso decidono di dedicarsi completamente alla vita del club, facendone di fatto la propria principale occupazione. Ritengo giusto che dove la necessità del club incontri la scelta di vita di questi collaboratori, venga riconosciuto lo status di lavoratore, anche se per il club stesso chiaramente l’impegno diventa decisamente più rilevante.
Rispetto al tema del vincolo sportivo, la sua abolizione sposa certamente la posizione dell’atleta, evitando alcune spiacevolissime situazioni che, se in altri sport sono forse più comuni, anche nel rugby possono causare danni spesso irreparabili al percorso rugbistico di alcuni ragazzi. È però altrettanto vero che sul valore dato a quel vincolo le società fondano determinati investimenti sul piano della formazione: l’entrata in vigore tra cinque anni credo e spero dia il tempo di trovare le necessarie misure di mitigazione, altrimenti temo che molti club possano essere indotti ad una dismissione sui propri vivai.
Piuttosto, molto preoccupante è la previsione che per ASD e SSD l’attività preminente debba essere quella sportiva: se davvero gli introiti delle club house, gli eventi, i centri estivi, le sponsorizzazioni, il merchandising, gli affitti dei propri spazi ad altre attività, dovranno tutti assieme risultare secondari ed inferiori rispetto al fatturato della sola attività sportiva, questo sarebbe per molti club un vero disastro, e snaturando la vocazione sociale della maggioranza dei club italiani, ne metterebbe seriamente a repentaglio la sopravvivenza.
D 2) L’idea realistica, assolutamente da realizzare in Federazione, nel prossimo quadriennio.
R 2) Tornare a rendere il rugby italiano uno sport nazionale. Invertire la scellerata desertificazione del nostro movimento al Sud e nelle piazze storiche abbandonate al loro destino – come L’Aquila o Catania, solo per citarne due – con un piano straordinario ed un manager di alto livello dedicato esclusivamente a questo progetto, che passa attraverso un’azione potenziata dei Comitati Regionali ed un impegno fortissimo della Federazione con il MIUR, con le amministrazioni locali e con le Forze dell’Ordine per gli aspetti educativi sui temi del disagio giovanile. Favorire ogni forma di rugby che possa sposare meglio le caratteristiche del territorio – beach, touch, tag, seven – per una semina importante nei primi anni, poi pensare ad alzare man mano l’asticella. Investire in impiantistica dove serva, ma soprattutto costruire una task force dei migliori tecnici giovanili, eventualmente attivando collaborazioni con Federazioni straniere, per impostare un lavoro di crescita dei club capillare e in profondità, costruendo le basi per un circolo virtuoso che possa poi auto-alimentarsi.
D 3) Le 3 riforme necessarie al rugby italiano.
R 3)
1- Ricollegare l’Alto Livello al resto del movimento: preservando al massimo la Nazionale, nostro irrinunciabile biglietto da visita e principale fonte di introito per la Federazione; fissando a 9 milioni di Euro il tetto di investimento per le due franchigie di Pro14, per poi utilizzare il corposo risparmio rispetto agli attuali impegni di bilancio – diretti e indiretti – per potenziare i Comitati Regionali ed attraverso di essi i Club dei loro territori; considerando il massimo campionato italiano – nella sua nuova formulazione di Super Lega – parte dell’Alto Livello. Un Alto Livello professionistico sempre in aperto dialogo con i territori e con il rugby non professionistico, in un sistema a vasi comunicanti che attraverso il nuovo percorso di formazione dei giocatori, sintetizzabile col concetto di “Accademia diffusa”, restituirà al tessuto del rugby identità, senso di appartenenza e obiettivi comuni.
2- Tornare ad avere un massimo campionato domestico degno di questo nome, istituendo una Super Lega ad accesso non per meriti sportivi, ma per criteri oggettivi di natura economico-finanziaria, impiantistica, organizzativa e professionale. Un campionato sul modello della NBA americana, con un Commissioner nominato dall’assemblea dei proprietari, con piena autonomia su regolamenti e gestione, ovviamente in allineamento con gli obiettivi obbligati fissati dalla FIR a beneficio della Nazionale e della crescita del movimento. I giocatori uscenti dal percorso di formazione federale, non ancora pronti per il salto in Pro14, vengono assegnati tramite il sistema dei draft, equilibrando il livello competitivo.
3- Potenziare i Comitati Regionali, che diventano un vero avamposto della Federazione sui territori, con figure professionistiche e risorse sufficienti ad operare sul proprio territorio per lo sviluppo del rugby a tutti i livelli. Affiancato al Presidente ed al Consiglio, un Manager operativo si affiancherà ad un Tecnico Regionale professionista.
D 4) Il FdS – Fondo di Solidarietà, istituito dall’AIR e dalla FIR, che attualmente assiste Giancarlo, Battista, Lorenzo, Cosimo, Francesco, Pino e Pasquale deve essere profondamente rinnovato negli obiettivi e nella struttura: qual è l’idea?
R 4) L’idea di base è che quel Fondo, destinato ad atleti colpiti da infortuni gravemente invalidanti, debba per principio e per diritto essere una dotazione INTOCCABILE, a differenza di quanto accaduto in passato. Dato questo quale punto di partenza per qualunque ragionamento, il Fondo dovrà essere oggetto di una valutazione condivisa rispetto ad una sua attualizzazione su principi di sostenibilità, ottimizzazione e garanzia. Credo che questo Fondo debba essere considerato uno degli indicatori più importanti del livello di cultura, di etica, di civiltà e di capacità di visione della nostra Federazione, e questo presuppone un’analisi oggettiva approfondita del suo status e della sua potenziale evoluzione, con una chiara assunzione di responsabilità da parte della governance.
D 5) I corsi formativi per giocatori a fine carriera e dirigenti di società sportive organizzati dall’AIR in due stagioni sportive, nonostante la pandemia, hanno contribuito a formare più di 650 tesserati alla Federazione Italiana Rugby: la formazione è considerata tra i punti fondamentali del programma del prossimo quadriennio?
R 5) Da presidente di Comitato Veneto ho avuto il piacere di collaborare all’organizzazione dei corsi AIR, apprezzandone il livello sia nei contenuti, sia nella professionalità dei docenti, e certamente ha rafforzato in me l’assoluta consapevolezza di quanto centrale sia questo capitolo nella rinascita del rugby italiano. Il tema della formazione è cruciale, perché solo attraverso di essa si può alzare il livello di competenza del nostro movimento: nello specifico, per i giocatori a fine carriera il nostro programma prevede una sezione appositamente dedicata, avendo già avviato una ricognizione con alcune delle principali realtà italiane che si occupano di bandi europei destinati proprio ad atleti che intendano investire su se stessi restando in ambito sportivo.
La Federazione che spero di poter presiedere dovrà avere uno sportello fisso dedicato ai fondi europei, aprendosi a consulenze e collaborazioni con enti e agenzie specializzate: in Veneto abbiamo lanciato il primo esperimento alcuni mesi fa, ma l’idea è di renderla strutturale a livello nazionale.
Per quanto riguarda le altre componenti dei Club, la formazione dei dirigenti sui temi amministrativi, gestionali, logistici e di
relazione istituzionale è altrettanto fondamentale: dopo aver girato praticamente tutte le club house italiane mi è chiarissimo come le competenze siano già nel nostro movimento, basta valorizzarle e renderle condivise, e su questo una Federazione che torni ad ascoltare e comprendere i Club e i territori è l’unica chiave possibile.
Direttamente quando occorre, ma principalmente sfruttando i Comitati Regionali nella loro veste revisionata, ed in entrambi i casi aperti a collaborazioni professionali di comprovato valore.